Far From Earth

Chronicles From Zeta Reticuli


1 Comment

22n (35’47” @ 8km)

(continua) Che altro si è perso?

Il buon senso, anche se è oramai parola abusatissima (al punto da domandarsi se vi siano state epoche in cui sia davvero esistito, oppure siamo di fronte ad una metafora del “si stava meglio quando si stava peggio”). Il buon senso più che morto è stato ricacciato nelle cave. Lo si richiede a gran voce ovunque, ma poco o nulla si fa per farlo tornare. Ci domandiamo spesso dove si sia nascosto, ma siamo ciechi alle nostre stesse azioni che lo hanno portato così lontano. Il mio capo spesso dice che oggi non esistono più persone stupide, che la società ha formulato infinite variazioni di problemi e malattie per distrarci (divertirci, come direbbe Cartesio) dal senso vero. Perché il senso vero credo sia che le persone stupide ci siano ancora, come ci siano quelle svogliate, quelle iperattive e quant’altro. Ma è maggiormente accettabile, moralmente, nominare qualcuno in modo asettico e neutro con un termine definito dalla “scienza”. Così non si deve trattare con i risvolti etici e personali del problema, ma semplicemente si possono meccanizzare le azioni ed inscatolare tutto in modo sicuro. Siamo passati forse da una società dell’empatia, magari sanguigna e non sempre corretta, ma onesta, ad una società della distanza, dove i problemi sono sulla carta, e se non sono li allora non esistono. E per la stessa strada è passato il buon senso, a cui si è sostituita la correttezza formale, rovesciando il senso stesso della società.

Perché la società, sublimazione del branco, è un assieme di individui, anzi di più, in senso chimico è una soluzione di loro (più che un conglomerato). Ma oggi più che mai le strutture che la società si è data, invece che essere figlie si sono trasformate in madri, ed hanno portato la morale dei singoli a seguire la deriva di queste strutture, dove invece una volta erano i singoli (e le loro derive, è vero) a dirigere la società. E in questi tempi post-moderni la direzione presa è quella di un formalismo estremo, della burocratizzazione delle relazioni, quella meccanizzazione preconizzata da Chaplin in “tempi moderni” ma reinventata in modo più sottile. Oggi non si giudicano le proprie azioni in base a degli ideali, non si cerca di capire se e quali siano le idee a cui votarsi, si cerca di pararsi la schiena aderendo il più possibile allo status quo, la forma è diventata anche la sostanza di se stessa, e dunque quella basta per motivare una azione. Ma in questo modo esautoriamo la ragione perché associamo il “bene” a quello che le strutture sovra-sociali ci dicono essere il bene, atrofizziamo la nostra capacità di giudizio e di azione di fronte alle scelte, perdendo un po’ alla volta il buon senso che abbiamo.

Ma al suo estremo opposto il buon senso non deve essere chiusura, illusoria visione del presente come continuità rigida con il passato, giudizio assoluto e cieco. Il buon senso non è faciloneria, al contrario è il più ampio uso della ragione di fronte ai problemi, ma con in mente la chiarezza del percorso che seguiremo. Buon senso non è impedire le azioni che ci possono sembrare stupide, ma dare la possibilità alle persone di soppesarne le conseguenze e di scegliere comunque in modo libero. Il buon senso quindi non più solo come istintuale decisione di cosa sia meglio, ma novella commistione tra intuito e ragione, tra comprensione senza parole e condivisione razionale di quanto si cerca di capire. L’intuito guiderà la ragione dove questa non trovi appigli, la ragione darà forza al cuore dove questo rimanga abbagliato ed ingannato dai fatti. Perché alla base c’è comunque la libertà di ognuno, e per quanto le scelte dei singoli possano essere o meno condivisibili, se la decisione è consapevole e meditata, dobbiamo solo sostenere quanto si sta per compiere, anche se magari non concordiamo. È il fardello della ragione e della maturità.

E dunque l’unica medicina contro questo tremendo vulnus moderno, a meno di non optare per la fede nelle scelte sovra-sociali, è la ragione, la ribellione di fronte alle idee, la voglia di fermarci e prendere tempo per sfidare quelle idee, per poi arrivare magari alle medesime conclusioni, ma saranno a quel punto anche nostre, ed avremo guadagnato in onestà.

E poi, che altro …


1 Comment

Porcupine Theory

Devo affrontare un errore, un grosso errore che commisi molto tempo fa. No, errore non è la parola giusta, fu un misto tra semplice sbaglio e lucida consapevolezza, che è peggio.
Ho lasciato passare il tempo, mesi ed anni, senza porvi rimedio, perché pensavo che in parte non ci fosse poi rimedio. Ho permesso che il tempo assopisse i pensieri, gli animi e le idee, che la neve coprisse tutto e cancellasse il paesaggio. Ma ad ogni primavera la neve si scioglieva e mostrava nuovamente quanto avevo voluto dimenticare.
E sinceramente non so il “come” fare, non ho idea di come andrà o cosa succederà. Le parole di Amleto esprimono in modo perfetto il senso di questo dilemma:

Morire – dormire, Nient’altro, e dire basta con quel sonno allo scempio del cuore e ai mille strazi inscritti nella carne: è un finirsi da implorare.
Dormire, forse sognare, sì, lì é l’intoppo; perché in quel sonno della morte quali sogni possano venire, quando noi ci siamo sbarazzati di questo terreno imbroglio, deve farci riflettere; questa è al considerazione che dà alla sventura una sì lunga vita;

L’unica cosa che c’è, è che affronterò quanto verrà, perché non voglio più rimandare, prenderò armi contro questo oceano di guai.